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Descrizione

Marmora era un comune prospero e popoloso, sin dall'età medievale.
Il XIX secolo segna il suo massimo sviluppo da un punto di vista demografico.
    
Il notevole sviluppo demografico favorì a partire dalla fine del 1800 e all’inizio del 1900 una grande emigrazione. Inizialmente  fu di carattere stagionale e successivamente divenne definitiva. Le mete prescelte dai nostri avi furono la vicina Francia (Var, Costa Azzurra, Bouches du Rhône, ma anche Parigi) e l’America (California e Argentina).

A tal proposito riportiamo la testimonianza di MADDALENA ANDREIS, nata a Marmora, frazione Tolosano, classe 1910, contadina (24 settembre 1971).
raccolta da Nuto Revelli ne “Il mondo dei vinti” (ed. Einaudi):
 

"Avere i capelli a zero era come denunciare la propria miseria"
  
Noi eravamo cinque minas 1, il primo aveva nove anni mentre stava per nascere il sesto. Avevamo una capra. Allora mio padre ha dovuto andare in America perché c'erano i debiti da pagare, nel 1914 è andato nell'America del nord, a San Francisco, da manovale in una segheria. Qui a Marmora faceva 'l butalé. Quando mio padre è partito per l'America io avevo quattro anni, ricordo che tutti piangevano. Là in America vivevano la mia mirina e il mio pirino 2 erano loro che avevano spedito a mio padre i soldi per il viaggio.
     
 
Mia madre ha tribolato tanto per allevarci. Man mano che noi crescevamo ci mandava al pane degli altri, io sono stata affittata due anni al Preit, avevo otto anni e lavorando dal mese di San Giovanni fino a settembre mi guadagnavo il grembiule della scuola ed ero mantenuta. Andavo al pascolo. Ogni sera c'era un po' di minestra, a colazione gli avanzi della minestra della sera, poi partivo con nella taschetta un pezzo di pane duro che bagnavo nell'acqua, rosicchiavo tutto il giorno quel pezzo di pane, avevamo i denti buoni. La borgata Tolosano in quegli anni era un formicaio, c'erano diciassette famiglie dal mio ricordo, e la famiglia piu piccola era la nostra con sei minas. Vivevamo malamente, mangiavamo lenticchie, orzo, e la polenta 'd frumentin, e tante trifulos, tante patate. A noi ragazze mia madre diceva: «Mangia lentigios minestra 'dles figios»3, e ai ragazzi: «Mangia fasöi minestra dei fiöi» 4 Madre faceva la fritta-

1 Bambini.
2 Madrina e padrino.
3 “Mangia lenticchie minestra delle ragazze “.
4 “Mangia fagioli minestra dei ragazzi”.
     
 
ta, trüciavu mac la pulenta cuntra la frità 1 che prendesse un po' di gusto, un po' di odore. Eppure le nostre facce erano grasse cosi, e bianche e rosse, e mai malati. Le nostre abitazioni erano case rusticos, ma noi dormivamo nelle lenzuola, non nei giaciglio.
Come sono stata un po' grandinota 2 sono andata da serventa al Colle, guadagnavo poi già duecentoventi lire al mese, tanto lavoro ma stavo bene, pastasciutta, pane molle, un bicchiere di vino nel buono del lavoro.
Alla fine di settembre scendevamo a Chiusa Pesio a raccogliere le castagne, a ciastagnar. Sul mercato di Chiusa Pesio eravamo sempre una quarantina di ragazze, tutte della vallata, ad affittarci. La prima volta io avevo quattordici anni ed ero là con una mia sorella. Guadagnavamo, lavorando ottobre e novembre, fino a Santa Caterina, duecentocinquanta trecento lire. Il lavoro era pesante, dalle quattro del mattino fino a notte. Un anno i padroni mi hanno regalato cinquanta chili di castagne come premio, e contenta che ero, mi sono portato sulla schiena quel sacco per cinque chilometri, dalla cascina fino a Chiusa Pesio. Quel rega lo voleva dire mangiare la minestra di castagne lungo l'inverno.
     
 
Eh, se ne facevano delle economie! Quando avevo sei anni ho venduto la prima volta i capelli, avevo na caviada 3 che scendeva fino ai piedi, madre ha rimediato settanta lire e con quei soldi ci ha vestiti tutti. A undici anni li ho di nuovo venduti i capelli, quanto ho pianto, me li hanno tagliati proprio a raso, proprio a zero, sono andata tutto l'anno a scuola con la berretta e le amiche ridevano, settantacinque lire li avevano pagati, io provavo vergogna. Erano i piu poveri che vendevano la caviada, avere i capelli a zero era come denunciare la propria miseria. Intanto mio padre mandava i primi soldi dall'America, mia madre pagava i debiti, e comprava una vacca, e comprava qualche pezzo di terra. Prima avevamo niente, solo una capra, ma malgrado la povertà mia madre era sempre riuscita a non farci fare la fame. Noi andavamo anche a raccogliere le erbe medicinali, violette, the, genziana, rimediando quelle duecento lire per stagione.

1 Sfregavamo solo la polenta contro la frittata.
2 Altina.
3 Una capigliatura.
 
Nel 1924 mio padre è tornato dall'America con trenta¬mila lire di risparmi. Ha comprato una casa, un po' di terra, ha fatto diversi strumenti.

A diciotto anni mi sono sposata. Allora la tradizione era che la sposa, subito dopo il matrimonio, doveva andare dagli suoceri a canté Martina 1. La sposa stava fuori dell'uscio, e dall'interno della casa la suocera diceva cantando: «Chi è chi l'ha li fora?» «Oh sa sun mi madone, sangue del mio, oh sa sun mi madone». «Co t'l'has catà Maddalena?» «'N bel capel madone, sangue del mio, 'n bel capel madone» 2. Quando la canzone stava per finire la suocera apriva la porta di casa.

Eh, una volta qui era un po' come nella bassa Italia adesso. Succedeva che i giovani rubavano le ragazze per sposarle, ne sono capitati tanti casi così. [...]”

1 A cantare Martina.
2 «Chi è che è lì fuori?» «Oh sono io madonna, sangue del mio, oh sono io madonna».
«Cosa ti sei comprata, Maddalena?» «Un bel cappello madonna, sangue del mio, un bel cappello madonna».

(vedasi anche nella pagina “Leggende” il racconto “Petit Juan”)
     
 
Nonostante il calo demografico dovuto anche alle due guerre mondiali e all’epidemia denominata “la spagnola”, Marmora, fino degli anni cinquanta godeva di un certo benessere. Ogni domenica a Ponte Marmora si svolgeva un grande mercato del bestiame, a cui partecipavano gli allevatori dei Comuni di Canosio, Elva e Marmora.

Da questa località partivano, su un camion già dotato di un piccolo rimorchio, numerosi vitelli destinati ai mercati di Cuneo e altri centri della provincia.

Storica fiera era quella "dei debit" (debiti) che si teneva il 13 settembre. L'esattore arrivava in paese per riscuotere, nel primo dopoguerra, le varie tasse allora in vigore: la tassa pascolo, la tassa famiglia e altre imposte. Era anche il momento del saldo di competenze private: si pagavano gli affitti e spesso si saldavano vecchie pendenze.
Tutto si concludeva con grandi bevute finali nell'osteria della borgata capoluogo.

La successiva ondata di emigrazione che ha portato ad uno spopolamente più radicale, avvenne negli ani 60 verso le grandi fabbriche della pianura.
     

Oggi Marmora vive soprattutto sull'attività turistica e pastorale. Produzione tipica sono i formaggi d'alpeggio dei margari, allevatori di bestiame che d'estate salgono ai pascoli di alta montagna, ai quali è dedicata la sagra del margaro che si svolge in agosto, la settimana prima dell'Assunta.

Altra iniziativa è la festa patronale di San Massimo reintrodotta negli ultimi anni.

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